Non è ancora chiaro chi sia o cosa faccia il Coach ma sembra che in molti lo siano diventati…
Ma il paradosso è che quando le persone hanno un problema, il Coach è probabile essere una delle ultime figure professionali a cui pensano.
Come mai? Perché non hanno ancora chiaro il valore di cosa fa realmente un coach, e se non chiaro il risultato che ne posso ottenere perché si dovrebbe pagare un professionista? Per ottenere cosa?
È grande la confusione nel mondo del coaching, spuntano coach da tutte le parti, e far capire il proprio valore risulta sempre più difficile.
In molti si definiscono Coach, basta fare un mini-percorso ed ecco che ci si definisce “coach”. Ormai nascono “coach” per tutto… è diventato di moda. Ho visto addirittura una pubblicità di uno shampoo che veniva definito “il coach del capello”!
Inizialmente si parlava di professionisti nell’ambito sportivo, poi business, poi life…poi dal life siamo passati a: Mentor Coach, Spiritual Coach, Wellness Coach, Parent Coach, Family Coach, Team Coach, Sexy Coach, Avvocato Coach, ecc…
Senza giudizio ma in pura osservazione, questo cosa crea?
• Confusione verso la figura del coach, il suo ruolo e in cosa può esserci realmente utile;
• Confusione e quindi poca professionalità;
• Sembra che sia di moda definirsi “coach”, ma in pochi intraprendono un vero percorso di trasformazione personale. Perché tutto parte sempre da noi, e chi è un Coach lo è in primis con sé stesso;
• Confusione fra la differenza del coach e altre figure professionali.
Ecco quindi che, è fondamentale la chiarezza fra le varie professionalità, cioè quando andare da uno psicoterapeuta, da un counselor, da un mentore, da un consulente, da un coach…o altro professionista della relazione d’aiuto.
Sono tutte figure utili, ma in ambiti diversi, per obiettivi diversi, e questo ogni professionista dovrebbe specificarlo per indirizzare al meglio la propria comunicazione e far sì che il proprio cliente riceva ciò che gli è più utile.
C’è stato un momento della mia vita in cui, pur essendomi certificata come coach come scuole diverse, mi definivo in altre forme, avevo cioè un rifiuto a “etichettarmi” come coach, in “reazione” a una definizione che mi suonava “troppo americana” e poco in linea con ciò che sentivo dentro di me.
Percepivo nella figura del coach un motivatore performante, e questo mi creava conflitto, ho così ascoltato ciò che realmente sentivo e ho lasciato che i miei valori mi indirizzassero verso una forma che nel tempo si è manifestata naturalmente.
Infatti, un coach in ascolto con sé, può si formarsi acquisendo gli strumenti della professione, e del processo del coaching stesso, ma il passaggio più importante, è quello più intimo di risvegliare il proprio Coach interiore.
Nel Master dell’Accademia di Coaching Relazionale il focus è orientato in primis in un percorso di auto coaching. Cosa intendo con questo?
Intendo, che chi per professione “allena” altre persone in un cambiamento verso uno stato di benessere, e nello specifico verso sane relazioni, obiettivo di questa Accademia, è opportuno che si alleni in primis a farlo con sé stesso.
Perché la relazione più importante è quella che abbiamo con noi, parte tutto da lì; dopo di che, possiamo relazionarci in maniera consapevole verso tutte le altre relazioni: figli, partner, genitori, amici, colleghi ecc…
Risvegliare il proprio Coach Interiore, è osservare, ascoltare, accogliere e risvegliare sé stessi, come essere umano, e questo rende il professionista, sia un “contenitore vuoto” senza interferire sulle dinamiche e processo dei propri coachee, sia “ispirante” per sé stesso e per gli altri. Il Coaching è un Arte che va Allenata e Risvegliata.